Un posto in cui le donne sono trattate come merce, prodotti di scambio… dove andare in una scuola occidentale è considerato un “peccato”…
Mandi le tue figlie a scuola la mattina e non sai se torneranno a casa il pomeriggio… non sai se è l’ultima volta che le vedi…
Questa è la tristissima storia di una delle povere ragazzine fuggite dal gruppo terroristico BOKO HARAM…
“Io mi chiamo Amina, ho 14 anni e sono stata rapita insieme alle mie amiche Safira, 13 anni e Muina, 14.
È successo verso le 6:30, stavamo andando a scuola.
Ci hanno messo sotto la guardia di dieci uomini sui cinquant’anni…Ci stupravano ogni giorno, ognuno di loro.
Tecnicamente, erano considerati nostri mariti, quindi non potevamo lamentarci.
Ho cercato di non rimanere incinta perché sapevo che avrei corso dei rischi, ma non sono stata cosi fortunata: dopo un paio di mesi, un giorno ho scoperto di aspettare un bambino.
Cercavo di nasconderlo, ma la pancia cresceva ogni giorno di più.
Un pomeriggio mi sono nascosta in bagno e ho iniziato a darmi forti pugni sulla pancia.
Non volevo essere la mamma di un figlio il cui padre era un terrorista. E poi, avevo paura che mi ammazzassero: ricordavo le urla di dolore delle altre ragazze incinte prima di me mentre venivano decapitate.
Mentre mi picchiavo sulla pancia, ho visto il sangue scorrere tra le gambe.
Quegli uomini mi hanno sentita piangere e poi mi hanno detto:
Ora che sei incinta, sarai la prossima kamikaze.
Preparati perché domani mattina ti manderemo a bombardare il tuo villaggio, dove sei stata rapita.
Non ti preoccupare perché tra poche ore andrai in paradiso e Allah è pronto ad abbracciarti.
Hanno preso la misura della mia vita, verso le 9, in maniera tale che la cintura esplosiva fosse adatta a me.
Poi verso le 11 hanno iniziato a festeggiare, bevendo birre e fumando ashish.
Verso le 3 del mattino si sono addormentati ed io sono scappata per andare ad avvisare il mio villaggio di ciò che stava per accadere.
Purtoppo non sono riuscita ad arrivarci in tempo. Avevo camminato per quattro ore.
Appena i terroristi hanno scoperto la mia fuga, hanno intuito che sicuramente sarei corsa ad avvisare il villaggio, quindi hanno subito drogato due ragazzine più giovani di me e le hanno mandate verso il villaggio.
Appena arrivata al villaggio, ho trovato delle mamme che piangevano per i loro figli, figli che piangevano per i propri genitori, sangue dappertutto… e mi sono resa conto di ciò che era appena accaduto.
Ero arrivata in ritardo, anche la mia famiglia era stata ammazzata.
Ho visto il corpo di mia mamma sdraiata a terra con gli occhi aperti che mi fissavano come se mi stesse dicendo
figlia mia….
Ho tanta rabbia dentro di me. Dopo tutti quei pugni, non so se il bimbo è ancora vivo o no.
Sognavo di diventare un medico, ma ora mi hanno rovinato la vita. Non ho più una famiglia.”
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