Occhi verdi, capelli allungati indietro da sottili treccine, pelle di bronzo, sorriso di sole.
La ricordo sotto un albero con i bambini per mano che ci salutava mentre andavamo via. Un carcinoma l’ha portata via, lontano da tutto e da tutti, troppo tardi per noi per poterla curare, troppo tempo trascorso ad assumere aspirine per sconfiggere il suo male.
Gliele avevano prescritte in ospedale a Malindi e si era presentata a noi con un foglio bianco che piangeva la sua malattia mentre lei bella e sorridente allattava al seno il suo ultimo figlio.
I suoi bambini che lei non avrebbe mai voluto lasciare da soli, vivono ora con una zia, non sanno dove sia la loro mamma, non chiedono e pure se lo facessero non avrebbero risposta.
Morire, in Africa, è vita, ammalarsi e non conoscere le cause né avere i medicinali per curarsi è realtà.
Nessuno di loro si stupisce, non lo hanno mai fatto, è abituale. Per loro la vita è un soffio. Non fanno previsioni, non hanno progetti, ogni giorno è un giorno nuovo e il passato non esiste.
I figli di Agnes non dimenticheranno la loro mamma ma scorderanno il dolore che hanno provato nel non vederla più. Vivranno senza sperare che lei possa tornare.
Non conoscono la speranza, sono abituati a non domandare, a non avere, a essere orfani, a crescere senza un padre o una madre, bensì con le sorelle più grandi, bambine di dieci anni appena che se ne prendono cura.
Chi può studia, chi non ha la possibilità si sposa e mette al mondo dei bambini.
Le donne solitamente non lavorano, ma si occupano dei più piccoli e del cibo. Gli uomini, quelli più fortunati, si trasferiscono in città a occuparsi nelle ville dei ricchi che possono permettersi la servitù. Così diventano cuochi, domestici, falegnami, muratori, addestrati a lavorare e basta, abituati a un’ora di pausa per consumare l’unico pasto giornaliero seduti nella terra arida e rossa sotto un albero.
Come Agnes… La notizia della sua assenza che ha fatto più male a noi che non ai suoi familiari, lei non c’è più, nulla di straordinario, di eccezionale, il dolore è passeggero e corre più veloce di tutto, loro non possono fermarsi, non possono stare fermi a pensare, non possono permettersi di patire dolore, troppo comodo, una scusa troppo facile, non c’è scusa.
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