Ricordo ancora la prima volta che ho visto una persona di pelle nera.
Ero in terza elementare, nel lontano 1990, l’anno in cui fu approvata la legge Martelli per regolare il riconoscimento dello status di rifugiato.
In quegli anni, il fenomeno dell’immigrazione stava subendo un vistoso incremento. In casa non si parlava altro che di
questi stranieri che ci vengono a rubare il lavoro a casa nostra.
All’ora di cena si guardava rigorosamente il TG5 e, puntualmente, siffatta affermazione faceva da sottotitolo alle immagini di barconi sovraccarichi di quelli che sarebbero stati i prossimi intrusi.
A 7 anni avevo cominciato a farmi, così, una prima idea di “straniero”, o perlomeno è quello che hanno tentato di farmi credere.
Quel sentimento di odio verso ciò che non era “italiano” contrastava con la foga di grandi e piccini quando esplose la musica dance in quegli anni. E quelle stranezze mi portarono a farmi domande che non trovarono mai una risposta:
Perché quelli no e questi sì?
Chi non si è attorcigliato la lingua nel tentativo di pronunciare “bom deghe deghe deghe bom deghe bom” di Ice Mc, chi non ha ballato sulle note di “What is love?” di Haddaway, “Dancing with an angel” di Double You, “Rhythm is a dancer” di Snap, “Be my Lover” di La Bouche e “The Rhythm of the night” di Corona?
Attendevamo con trepidazione la fine della scuola… perché significava l’inizio del Festivalbar, che ci avrebbe accompagnati in un’altra meravigliosa estate all’insegna di una musica che fa sognare ad occhi aperti mare, spiagge e la tua nuova cotta estiva, comodamente seduti davanti allo schermo di una tv…
Ma quello stesso schermo riportava anche un’altra realtà: gli idoli delle nostre canzoni disco erano quasi tutti neri… Ma da che posto del mondo venivano questi esseri umani di pelle scura, cantanti, ballerini con giacche di pelle borchiate, se ti hanno sempre spiegato che
quelli lì” vivono nelle capanne in Africa, sono poveri, secchi e con la pancia gonfia, hanno le mosche che gli ronzano intorno alla bocca giorno e notte…
La mia domanda ebbe presto una risposta, quel giorno in terza elementare quando ci portarono in visita alla Reggia di Caserta.
Mia madre mi aveva dato 5000 lire con questa raccomandazione:
Non ti comprare niente dai vu’ cumprà.
Fino ad allora non ne avevo mai visto uno, se non al solito telegiornale.
Ero una bambina ubbidiente, ma in quell’occasione feci proprio l’opposto.
Durante la pausa merenda, vidi un giovane nero, molto alto, con una bancarella sotto braccio piena di braccialetti colorati. Mi allontanai dal gruppo, incuriosita, e cercai di interloquire con lui. Non ricordo nulla di quello scambio di parole, ma è rimasta vivida in me quella stupenda sensazione di trovarmi di fronte a una persona “diversa”.
Non era quello di cui avevo sempre sentito parlare: io ne rimasi affascinata….
CONTINUA….
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