Il copricapo in Africa: più di una dichiarazione di bellezza




Noto anche come Duku in Malawi e Ghana, Tukwi in Botswana, Gele in Nigeria, Moussur in Senegal, Doek in Namibia e Sud Africa, Chitambala in Zambia, il copricapo occupa una posizione distintiva nella storia dell’abbigliamento femminile africano sia per la sua longevità che per i suoi potenti significati: ha superato il travaglio del colonialismo e non è mai passato di moda.

Questo pezzo distinto di tessuto è stato chiamato in vari modi: “straccio per la testa”, “cravatta per la testa”, “fazzoletto per la testa”, ma rappresenta molto di più di un semplice pezzo di stoffa annodato intorno ai capelli: è un’innegabile e gloriosa dichiarazione di bellezza.

L’evoluzione di questo capo di abbigliamento parte dall’Africa sub-sahariana e si sviluppa negli stati americani schiavisti.

Nel 1735 i padroni bianchi imposero alle donne che lavoravano nelle piantagioni di indossare un fazzoletto come tratto distintivo della loro condizione. A chiedere questo intervento legislativo furono le mogli che vedevano nella bellezza di queste donne un elemento di “distrazione” per i propri uomini.

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Da segno distintivo, il fazzoletto annodato dietro la nuca finì per essere associato allo stereotipo della “zia nera” (detta anche mammy), che aveva il compito di crescere e accudire i bambini bianchi.

La ribellione e la resistenza lo resero un “elmetto di coraggio”, indossato come uniforme per evocare la comune identità e appartenenza all’antica patria africana e alla nuova patria americana.

Le discendenti delle schiave ne hanno successivamente determinato il significato e l’utilizzo per le future generazioni. In altre parole, lo stile con cui viene indossato costituisce un indicatore culturale specifico.

Secondo la tradizione Yoruba, per esempio, il modo in cui il gele viene annodato indica lo status coniugale della donna: se è leggermente inclinato a sinistra, vuol dire che è nubile; se l’inclinazione è verso destra, significa che è sposata.

La rinascita dell’orgoglio africano nel resto del mondo, specialmente tra le giovani afro-europee e afro-americane, ha reso possibile un ritorno in auge di questi panni coloratissimi e artistici, ora impiegati come forma di identità e di valorizzazione delle proprie origini e della propria storia passata e presente.