La doppia identità afro-francese: “In Francia sono africana, in Africa sono francese”

La fotografa Carolina Arantes, vincitrice della borsa di studio fotografica Firecracker nel 2017, documenta la vita quotidiana delle donne francesi di origini africane alla ricerca di una solida identità mista nel paese, attraverso il suo progetto First Génération, pubblicato in un nuovo libro di Fisheye Éditions.

La prima generazione di cittadini afro-francesi, nati in Francia in seguito all’approvazione della legge del ricongiungimento familiare del 1976, è una generazione che lotta per il proprio posto tra il sentimento di non appartenenza e le proprie origini geografiche. Si tratta di un documentario formato da interviste, archivi di famiglia e ritratti di donne consapevoli di questa lotta nel paese gallico.

Adolescenti che giocano davanti alla loro casa a Bezons, Île de France.

La prossima generazione avrà la strada spianata, poiché i loro genitori nati in Francia conosceranno la burocrazia francese e il modo di vivere.

Gladys Kenfack

Gladys Kenfack, 41 anni, responsabile delle vendite export, dice:

Penso che la vera libertà che abbiamo sia che oggi non ci vergogniamo più di prendere in giro i nostri genitori.

È vero che in Africa i genitori e gli anziani sono sacri.

Penso che questa doppia cultura trasmetta il fatto che non ci vergogniamo dei nostri genitori.

Riconosciamo i loro pregiudizi, ma riusciamo a parlarne senza che venga considerata una mancanza di rispetto.

Penso che qui abbiamo fatto un vero passo avanti, perché tutti i video che vedo su TikTok o su Instagram di giovani donne o ragazzi che prendono in giro l’accento della mamma, che prendono in giro il fatto che la mamma non capisca cosa ha detto l’insegnante, che si prende gioco del fatto che si arrabbiano molto velocemente…

Dieci anni fa non sarebbe stato accettato, sarebbe stato percepito come una mancanza di rispetto.

Al giorno d’oggi, lo facciamo con abbastanza amore e rispetto da prendere in giro i loro modi e, allo stesso tempo, riconosciamo il loro valore.

Fatoumata Koné

Fatoumata Koné, 41 anni, esponente politico del partito ecologista Europe Écologie les Verts e presidente del consiglio comunale di Parigi, dice:

È stato molto difficile per me vedere che più avanzavo verso posizioni importanti, meno trovavo persone provenienti da un contesto di immigrazione. Devi fare il triplo per sfondare, è molto difficile.

La prima volta che l’ho accusato davvero è stato all’università.

Ero iscritta alla facoltà di comunicazione presso la Sorbona.

A lezione c’erano un centinaio di studenti, ma tra questi non arrivavamo nemmeno a dieci persone nere.

Quindi è vero che è una sorta di sfida.

Era la prima volta che sentivo che era rassicurante discutere e trascorrere del tempo con persone che erano più simili a me.

Ma sempre con questa domanda: perché, in ogni fase della mia vita, dei miei studi, più in alto vado, meno trovavo persone come me? Questo mi ha sempre tediato.

Fatoumata Koné’s professional card

The professional card of Fatoumata Koné’s father, who worked at as a refuse collector.

Penso che la situazione mi sia davvero esplosa in faccia quando sono stata eletta, soprattutto per via della violenza che dilaga sui social network.

È stato allora che la mia mente mi ha riportata alla mia immagine di donna nera, per vie delle diverse persone che mi insultavano.

Ho la sensazione di essere stata effettivamente accusata di avere delle responsabilità.

Quella è stata la prima volta che mi sono sentita davvero scelta perché sono nera.

Mi sono detta che, in effetti, ciò che la gente vede è prima di tutto una donna nera.

Ed è così che ha iniziato ad essere un problema per me essere nera, una sensazione che non ho avuto nel corso della mia vita.

Kheira.

Kheira, 27 anni, è una blogger, fashion influencer e imprenditrice. Ha lasciato il lavoro per aprire un’attività in proprio specializzata in prodotti di fast food africani.

Quando immaginiamo la donna parigina, nella versione più cliché immaginiamo una ragazza snella, bionda e di gran classe con la sua piccola borsa Chanel.

Ma questo non è affatto la vera rappresentazione della realtà.

Una ragazza parigina, per me, è una ragazza che vive a Parigi, che conosce la città, i suoi luoghi, quindi non è una questione di apparenza.

Ci sono donne parigine così, naturalmente, ma la donna parigina oggi si presenta in molti tipi diversi.

Penso che abbiamo paura di sognare.

Abbiamo paura di dire: “Posso farlo.”

Perché noi stessi diremo di no.

Le persone intorno a noi diranno di no, e le persone che non vogliono che tu abbia successo diranno di no.

Quindi ci sono già diverse barriere.

Penso che una maggiore rappresentazione possa permettere di riconquistare più fiducia.

Oggi in Francia ci sono molte culture diverse e tutte hanno un posto.

È la ricchezza di questo paese avere diverse culture che convivono.

Domani i bambini di queste culture andranno a scuola insieme.

Si formano coppie miste, di culture diverse.

Tutte le culture sono qui e noi dobbiamo rappresentarle tutte.

Assa Doucouré passes young students at the entrance to the building where her mother lives, in the 13th arrondissement of Paris, 2017

Assa dice:

Ogni giorno costruisco la mia identità.

Ogni giorno imparo.

È un po’ complicato, ma ci provo.

Le donne che si trasferiscono in Francia conoscono solo i propri mariti ma devono imparare a vivere qui, con tutta la cultura francese, e adattarsi alla lingua, al clima, al sistema, a come funziona l’assistenza sanitaria e tutta la burocrazia.

Poi, l’educazione scolastica dei bambini:la scuola da noi in Africa non è la stessa cosa.

In Francia, ogni mattina a quell’ora devi essere lì.

Per le donne che non sanno nemmeno dire l’ora, non è una cosa scontata.

Poi hai il bambino che impara delle cose a casa e a scuola ne impara altre.

Non è la stessa cosa.

Le lingue hanno parole totalmente diverse.

Ricordo che all’asilo e a casa le cose erano proprio diverse.

La differenza è così notevole che a volte comporta molte difficoltà perché i genitori immigrati non parlavano francese e quindi non potevano correggere i compiti.

Per non parlare dell’essere coinvolti nella scolarizzazione del bambino, quando per esempio un insegnante convoca i genitori.

Prima di tutto non capivano la lingua e a volte, anche se le mamme capivano, non sapevano come comportarsi: “Mia figlia non va bene a scuola, cosa devo fare? Non sono capace a insegnarle le cose.”.

Penso che questa questione non si pone per la seconda generazione, per i nostri figli sarà completamente diverso.

Coumba al parco giochi con i suoi figli, Saint Denis

Coumba Doucouré, 30 anni, tecnico chimico, dice:

Non vedo il senso di essere qui, mi annoia venire, ma vengo per i bambini.

La scuola pubblica ha svolto un ruolo importante nell’introdurre la cultura, la politica e la lingua francese alla prima generazione di giovani in Francia.

Molti traumi derivano anche dal diverso trattamento e dalla mancanza di sostegno per gli studenti figli di genitori immigrati. La scuola a volte è stata il luogo in cui i bambini hanno vissuto realmente il razzismo, a volte con un linguaggio molto violento.

Laetitia Ngoto

Laetitia Ngoto, 35 anni, organizzatrice di eventi culturali. Ha fondato Art Press Yourself, un evento dedicato ai cittadini afro-francesi.

Aissé N’Diaye at home in Saint-Ouen

Aissé N’Diaye, 41 anni, stilista, si occuopa anche di recupero di vecchie foto e storie di famiglie africane. Aissé dice:

Quando vado in Africa, che sia nel mio paese o villaggio d’origine o in altri, la gente pensa che io sia francese.

Non mi diranno mai ‘tu l’africana’ o ‘tu la mauritana’ o ‘tu la soninké’.

Mi chiameranno sempre francese.

È in questi momenti che mi sento francese.

Nonna e cugina di Aissé in Mauritania.
Carta d’identità francese della nonna di Aissé quando il Senegal era una colonia francese.

È paradossale perché io mi sento totalmente africana.

Qui in Francia siamo considerati africani e non francesi.

Vale a dire che siamo considerati cittadini di seconda classe, ma siamo anche considerati francesi a causa – o grazie – ai nostri documenti.

Quindi c’è questo doppio standard in termini di immagine che a volte è difficile sostenere.

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