La mia avventura con un mango gocciolante

È un tipico pomeriggio tranquillo in un villaggio africano a centinaia di chilometri di distanza da Lagos. Si possono letteralmente sentire i suoni di un milione di varie specie di uccelli che intonano canzoni melodiose, come quelle interpretate dal grande coro evangelico di Soweto che invoca lo spirito pacifico di Mandela. A questo si acccompagnano i suoni delle foglie secche che si screpolano sotto le zampette dei grilli canterini saltellanti alla ricerca di una compagna per un romantico incontro, anche se per soltanto due secondi. Una vacanza a Ibiza non regge il confronto, quando la festa è più divertente sotto casa tua.
Scorgo lievi fulmini tra le nuvole: si sta avvicinando la pioggia! Quello era sempre un momento molto atteso per noi: il miglior momento per giocare a calcio, correndo sotto la pioggia tra le pozzanghere. Quelle erano le nostre piscine! La pioggia stampava il sorriso sui nostri volti. Tutti i problemi del mondo di noi bambini si dissolvevano, perché la pioggia non rappresentava affatto un problema, anzi, era sicuramente uno dei miei momenti preferiti in AFRICA.
Urlo al mio amico Takus di uscire di casa e raggiungermi sotto la pioggia. Ci corriamo incontro a piedi nudi con le braccia spalancate, come due amanti che si rivedono per la prima volta dopo un lungo periodo di separazione, calpestando il terreno con un passo di gran lunga meno elegante di quello di un elefante.
 
Ci mettiamo a cantare quelle canzoni popolari che i nostri nonni ci cantavano con voce rotta, urliamo, imitiamo i nostri personaggi televisivi preferiti , ci rincorriamo…
E ci rendiamo conto di essere troppo stanchi per giocare a pallone. Ma abbiamo ancora le nostre pozzanghere in cui poter sguazzare come se non ci fosse un domani, urlando più forte di Macaulay Culkin in “Mamma, ho perso l’aereo”. Non avevamo né Mirabilandia né Disney Park, ma avevamo il più semplice e miglior posto al mondo che un bambino possa avere per divertirsi: sotto la pioggia in un villaggio africano!
Smette di piovere. Sappiamo che il divertimento non può finire così, quindi escogitiamo un piano B prima che i nostri genitori vengano a cercarci: decidiamo di andare a raccogliere frutta per dissetarci con del buon succo. La frutta qui è la più dolce e succosa che io abbia mai assaggiato! Nei nostri villaggi ci sono alberi di frutta in ogni angolo, non occorre andare al supermercato.
Arriviamo a questo delizioso albero di mango. L’albero è bagnato e molto scivoloso, non è una buona idea arrampicarsi. Allora Takus ed io mettiamo in atto un piano che in questa fase ci sembra perfetto: decidiamo di far cadere qualche mango colpendoli con le pietre.
Frettolosamente raccogliamo qualche pietra e iniziamo a scagliarle contro la frutta. Io punto quel bel mango giallo e succoso e mi viene già l’acquolina in bocca solo a guardarlo. Lancio quelle pietre come se fossi un atleta di giavellotto olimpico. Mi assicuro di tenere gli occhi puntati sul mango, così in caso di caduta non devo scansionare l’erba alta per ritrovarlo, rischiando di calpestarlo.
Ma ecco che sta per accadere qualcosa di incredibile: come in una scena al rallentatore, la pietra graffia la buccia del mango quanto basta per farne esplodere la succosa carnosità, e rilascia gocce di succo che cadono giù come missili. Con abilità schivo il sasso-boomerang che sta per colpirmi la testa, rischiando di farmi molto male; ma non è quello di cui avrei dovuto preoccuparmi, al massimo me la sarei cavata con un bernoccolo: come una coltellata, una goccia di succo centra in pieno il mio occhio sinistro e all’improvviso il buio intorno a me! Mentre mi dimeno a destra e a manca, sento Takus che se la ride come un matto. Sicuramente per lui quella era una scena da cartone animato, per me non lo era!
Sento che in un nanosecondo le ciglia delle mie palpebre sono già state intrecciate dal succo altamente zuccherino del mango, e strofinando con le mani peggioro solo la situazione.
Cerco di aprire l’occhio invano, fa malissimo! Siamo costretti a dichiarare la missione fallita. Come dei soldati che hanno appena perso torniamo a casa con la coda tra le gambe, con l’acqua piovana che ancora gocciola dai nostri vestiti. Ci rendiamo conto che è anche molto tardi e i nostri genitori saranno sicuramente preoccupati e ci staranno già cercando. Per fortuna ho Takos accanto a me, e riesco a tornare a casa.
Takus vede mia madre arrivare verso di noi e se la dà a gambe levate per sottrarsi allo stesso destino che mi stava già attendendo: la sculacciata della mia vita. In Africa i bambini appartengono a tutta la comunità e non puoi disciplinare solo tuo figlio ma con amore devi occuparti anche dei figli degli altri, soprattutto se in quel momento i loro genitori non sono presenti.
Appena mia madre realizza quello che mi è capitato, mi trascina dentro casa per lavarmi il viso. Il succo ormai solidificato si scioglie gradualmente e io finalmente “riacquisto” la vista.
Ancora oggi, quando racconto questa storia dopo tanti anni, la mia famiglia scoppia in una fragorosa risata.

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