Un’improvvisa fitta allo stomaco è stata la prima cosa che ha detto al mio cervello che stava accadendo qualcosa di strano. Poi una sensazione di disagio simile a crampi di fame che si trasformavano in un dolore mai provato prima e viceversa.
Avevo 10 anni e non capivo cosa stesse succedendo al mio corpo, avevo tanta paura.
Non avevo idea di cosa fosse il ciclo, ma sapevo che i bambini venivano dalla pancia delle donne.
Forse sono incinta?
Mi chiedo preoccupata. Poi sento qualcosa scorrere tra le mie gambe. Corro in bagno e, con mio orrore, vedo le mutandine ricoperte di un liquido rosso scuro.
Vado in panico quando mi rendo conto che il sangue sta fuoriescendo dal mio corpo. Mi siedo sul water e avverto che ne esce sempre di più.
Mi chiedo se sto morendo, mentre cerco di pulirmi con la carta igienica, nel tentativo di fermare tutto quel sangue.
Tiro su gli slip e mi accorgo che il sangue è tutto sulle mie mani e sul pavimento. Provo a dare una pulita, lavandolo via anche dal copriwater e dalla maniglia della porta del bagno. Perfino i miei pantaloni sono sporchi.
Scappo nella mia stanza, dove ci sono mia madre e mia sorella gemella sedute sul letto. All’epoca vivevamo in una casa accoglienza perché mia madre era disoccupata; c’erano sei o sette stanze con altre tre o quattro famiglie e bagni in comune. Non mi piaceva quel posto.
Mamma…
esordisco così, cercando di spiegare cosa mi sta succedendo, ma qualcun altro mi batte sul tempo:
Perché ci sono macchie di sangue nel bagno?
grida una voce in corridoio, in un tono così alto perché tutti sentano. Tutti si affacciano sul corridoio e io sprofondo nell’abisso dell’imbarazzo.
La sua reazione mi fa sentire così piccola: non è mai stata una donna dai modi gentili, quindi non mi soprende che sia lei a piantare tutta quella scena. Eppure, da donna, dovrebbe sapere cosa significa avere il ciclo.
In quell’istante i miei occhi si riempono di lacrime, mia madre intuisce subito che la “colpevole” sono io. Apre la porta e afferma di essere stata lei a lasciare le macchie di sangue.
La donna guarda me e poi di nuovo mia madre, poi se ne va in giro a fare una conferenza su quanto sia sgradevole quello che ha fatto mia madre.
Lei si morde la lingua, si scusa e poi va in bagno a pulire. La seguo e cerco di aiutarla. Sono imbarazzatissima.
Gli occhi degli altri inquilini sono incollati su noi due, mentre attraversiamo il corridoio. Guardando le loro facce, non vedo altro che disgusto. Riesco a leggere nei loro pensieri:
Sì, è lei che sta sanguinando!
La vergogna cresce dentro di me nel sentirli parlare mentre puliamo.
In bagno, mia madre non dice una parola, se non per dirmi che ne discuteremo una volta rientrate nella nostra stanza. Mi sento già in colpa per il fatto che si sia presa lei la colpa. Ancora oggi rimpiango di non essere stata all’altezza della situazione.
Una volta tornate in camera, mia madre si mette a cercare degli spiccioli nella sua borsa per comprare gli assorbenti.
Non né so nulla di prodotti sanitari: il ciclo di mia madre si è già fermato qualche tempo prima, quindi non l’ho mai vista usarli e non capisco come un piccolo pezzo di cotone possa salvarmi da quell’emorragia.
Fin dall’inizio, ho provato questa sensazione che il mio ciclo mestruale era un problema piuttosto che un evento naturale nella vita di miliardi di donne. Ma la cosa ancora più grave era che ancora non sapevo perché questo evento debba verificarsi nella vita di ognuna di noi.
Mia madre mi fa sedere sul letto e inizia a spiegare:
Poiché sei una ragazza, avrai una visita ogni mese.
Il fatto che questo debba accadere regolarmente è tutt’altro che confortante da sentire. Inizio a diventare isterica mentre tento di spiegare la mia agonia: quella sensazione acuta, tesa e lancinante nello stomaco e i dolori ai lati del mio corpo.
Mia madre si è rivelata comprensiva e ha confidato che anche lei ha avuto dei periodi in cui il ciclo era molto pesante da sopportare.
Potevo capire il motivo per cui non me ne avesse mai parlato prima: ha passato la sua infanzia a prendersi cura di mia nonna; crescendo, quindi, non hanno mai parlato di niente del genere. Mia madre ha dovuto fare tutto da sola. Tuttavia, avrei preferito che mi avesse almeno fatto qualche accenno, anche perché l’argomento non è mai stato affrontato neppure a scuola.
Una conversazione a monte avrebbe placato le mie preoccupazioni e mi avrebbe preparata a gestire al meglio il mio primo giorno. Forse avrei potuto evitare quel disastro in bagno.
Il mio primo ciclo mestruale in una casa accoglienza ha cambiato il modo in cui vedevo il mio corpo e il ciclo negli anni a venire. Da allora, ogni mese ho dovuto affrontare il ricordo di quel terribile evento e convivere con l’idea che tutti in quella casa sapevano cosa era successo.
La vicina urlatrice rendeva noto a tutti ogni volta l’arrivo del mio ciclo, appena mi vedeva andare in bagno. Non sempre mia madre aveva i soldi per comprare gli assorbenti, così a volte dovevo ammucchiare la carta igienica nelle mutande. Ma il mio flusso era molto abbondante e la carta non bastava, quindi mi macchiavo spesso la biancheria intima e i pantaloni.
Una volta ho sanguinato così tanto che ho sporcato perfino la sedia a scuola. Che imbarazzo quando hanno chiamato la bidella per pulirla!
Credo che le donne hanno bisogno di sapere cosa fare quando capita a loro e devono aiutare le altre donne ad affrontare la situazione. È importante quanto imparare a lavarsi i denti. Per fortuna, quando mia madre ha trovato un lavoro, potevamo permetterci gli assorbenti. Ho smesso di usare i fazzoletti alle medie.
Ora, a 22 anni, ho ancora dei cicli pesanti e dolorosi, anche se prendo una pillola contraccettiva, che mi permette di stare tre mesi all’anno senza ciclo.
Ancora oggi mia madre si scusa con me per come ha gestito tutta la questione.
Le donne non devono vergognarsi o sentirsi evitate dalla società a causa del ciclo. Voglio che tutti sappiano che i cicli non sono nulla di cui sentirsi in imbarazzo: sono una parte naturale della vita.
Spero che altre giovani donne possano trovare qualcuno con cui confidarsi, anche se è dura: è ancora un argomento che non viene discusso apertamente. Questo deve cambiare.
In tutto il mondo ci sono organizzazioni che istruiscono le persone su questo argomento, quindi spero che nessuna debba sentirsi sola e confusa come è accaduto a me.
Fonte: Alexis McGowan
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