Sia una ricerca accademica che la cultura popolare concordano nell’assumere che le donne nere che alterano i loro capelli naturali, per renderli lisci, stiano praticando una forma di odio verso se stesse.
Il presupposto è che la pratica di stiratura dei capelli afro sia
indicativa di un odio per le caratteristiche fisiche dei neri e un’emulazione delle caratteristiche fisiche dei bianchi.
In altre parole, le donne nere alterano i loro capelli naturalmente kinky (crespi) o nappy (termine derogatorio per descrivere i capelli degli schiavi afroamericani, accostandoli ai batuffoli di cotone che raccoglievano nelle piantagioni) perché vogliono prendere le distanze dal loro retaggio africano e apparire bianche.
Negli Stati Uniti, i bianchi occupano la posizione sociale con maggiore potere e maggiore privilegio; essere “bianco” significa essere automaticamente associato a connotazioni positive, mentre essere “nero” significa essere associato a caratteristiche negative. La gerarchia sociale che pone il bianco in alto e il nero in basso rende logico il presupposto che la stiratura dei capelli sia un tentativo di associarsi alla “bianchezza”.
La schiavitù, il razzismo e la supremazia bianca hanno avuto effetti negativi duraturi sull’identità nera. La svalutazione dei tratti somatici africani ha creato un contesto culturale in cui la “blackness” esiste come antitesi della bellezza.
I proprietari di schiavi privilegiavano gli individui con la pelle più chiara, i lineamenti più dritti e i capelli più lisci rispetto a quelli che presentavano caratteristiche più africane.
L’interiorizzazione della supremazia bianca si riflette nel modo in cui i neri vedoono la propria bellezza e si esterna nella lotta quotidiana delle donne di adattare non solo i propri capelli agli standard caucasici, ma anche il colore della pelle attraverso tecniche di “sbiancamento”.
La preferenza per i capelli lisci è particolarmente evidenziata anche dai media e dalle pubblicità, che glorificano i capelli lunghi e setosi, incoraggiando l’adesione al “bianco”.

L’assenza di modelli con capelli afro collega in modo subliminale l’immagine dei capelli “crespi” con la “non bellezza”.
Stirarsi i capelli per emulare una celebrità non è sempre dettata da una libera scelta: in molti casi si tratta di una necessità sociale ed economica. L’immagine “curata e dolce” dei capelli rilassati trasmette un’idea non minacciosa nelle menti di una società bianca.
È una tecnica di sopravvivenza che consente di mimetizzarsi e di fondersi con la società “normale”. mettendo a proprio agio chi sta intorno e non ha familiarità con i capelli afro.
Infatti, nel mondo professionale una donna nera con i capelli naturali è spesso considerata trasandata e disoccupata.
Non di rado, i datori di lavoro adottano misure punitive (tra cui il licenziamento) per vietare i capelli naturali sul posto di lavoro.

L’alterazione dei capelli è diventata una parte così integrante dell’identità femminile nera che avviene automaticamente, senza pensarci troppo.
Le bambine nere vengono istruite sin dalla tenera età sui loro capelli. Gli standard di bellezza dominanti sono così completamente interiorizzati che la maggior parte delle donne sente che l’opzione di lasciare i capelli al naturale non esista nemmeno più.
Ma c’è aria di cambiamento.
La coalizione CROWN, un acronimo che sta per Creating a Respectful and Open World for Natural Hair (creare un mondo aperto e rispettoso per i capelli al naturale) sta promuovendo progressi a livello legislativo contro la discriminazione che prende di mira i capelli, soprattutto sul posto di lavoro. Secondo i poco consolatori dati del gruppo, infatti, una donna di colore è nell’80% dei casi più incline a camuffare i suoi capelli naturali per andare incontro alle norme sociali, proprio perché più spesso rifiutata a causa della sua apparenza “poco professionale”.
In California, la battaglia di CROWN si è trasformata in atto di legge, impedendo che si possa licenziare un dipendente a causa della sua messa in piega.
Nel 2000 è nato un movimento di capelli afro al naturale, definito Natural Hair Movement, che ha voluto rivisitare il termine nappy con una nuova chiave di lettura, unendo due parole: la “N” di Naturally e “appy ” di Happy. Questo nuovo significato rivendica la bellezza, l’identità e l’orgoglio black, che sfocia attraverso i capelli sfoggiati FELICEMENTE AL NATURALE.

Partiamo da un esempio celebre. Da quando ha svestito i panni di First Lady, Michelle Obama ha voluto trasmettere un messaggio forte alle donne: ha lasciato da parte gli hairlook composti e riconosciuti come istituzionali per liberare i suoi capelli curly naturali.
Le capigliature afro sono scenografiche, scultoree e soprattutto naturali. Cominciano ad essere motivo di vanto per tante celebrità che le portano perfino sul tappeto rosso, rendendo l’hairstyle il vero protagonista del loro look.




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