Mutilazioni genitali: un rito che mutila la vita delle donne



Nel mondo occidentale, il primo messaggio che viene propinato alle ragazze è che, per essere “accettate” dalla società, il loro corpo deve essere perfetto, laddove con “perfetto” allo stato attuale si intende “magro, senza lentiggini, labbra carnose, naso all’insù, seno prosperoso…

Paradossalmente, esistono altre ragazze che, per essere accettate dalla propria comunità, vengono sottoposte a una “rimodellazione” dei propri corpi attraverso una pratica dolorisissima e priva di alcuna utilità: la mutilazione genitale femminile (MGF).

Questa pratica viene eseguita su bambine e adolescenti ed è ancora diffusa in alcuni paesi dell’Africa e dell’Asia come Eritrea, Guinea, Egitto, Mali, India e Pakistan.

In questi paesi, la MGF è considerata un rito di passaggio che permette di entrare a far parte della comunità. Le famiglie che decidono di astenersi vengono condannate o ostracizzate (bandite, emarginate) e le loro figlie non sono ritenute idonee al matrimonio.

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A ciò si accompagnano anche falsi miti: si pensa che il clitoride possa crescere a dismisura fino a raggiungere le dimensioni di un pene o che la MGF aumenterà la fertilità, oppure che gli organi genitali “aperti” siano sinonimo di sporcizia, mentre quelli cuciti sono visti come puliti e attraenti.

Le ragioni di questa operazione sono spesso radicate nella disuguaglianza di genere. Essendo un prerequisito per il matrimonio, nessun uomo sposerebbe una donna “non tagliata”: innanzitutto, perché sarebbe considerata sporca; in secondo luogo, perché sarebbe più propensa a tradire.

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La mutilazione “asporta” ogni forma di desiderio e di piacere sessuale nelle donne. In questo modo, in tutta la sua vita sessuale la donna si unirà soltanto a suo marito e per due motivi: rispondere a un dovere coniugale e gratificarlo.

Le Convenzioni internazionali sanciscono che le MGF sono una violazione dei diritti umani femminili. Addirittura, in Italia ci sono due normative che le vietano: la 7/2006 “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile” e l’art 583 bis del codice penale.

Esistono varie tipologie di mutilazione, distinte in base alla loro gravità:

  1. la circoncisione (rimozione parziale o totale del clitoride);
  2. l’escissione (rimozione completa di clitoride e piccole labbra);
  3. l’infibulazione (asportazione delle grandi labbra e conseguente cucitura della vagina).

L’esito di questi “interventi” su una donna è indescrivibile: il trauma fisico e psicologico subito rimane indelebile sul suo corpo e nei suoi pensieri.

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Non bisogna sottovalutare le problematiche riscontrate dalle donne in seguito a questo atto brutale e penoso: dolori cronici, emorragie, infezioni urinarie e vaginali, incontinenza, infertilità, gravi lacerazioni al momento del parto… tutti problemi che possono causare la morte; per non parlare del fatto che vengono private del diritto di conoscere il proprio corpo, di prendere decisioni sul proprio corpo e che per tutta la vita saranno costrette a vivere con un perenne senso di angoscia e di paura.

Spesso si pensa che sia collegato all’Islam, al contrario, non è approvato né dall’Islam né da alcun credo religioso.

La MGF viene tradizionalmente eseguita da un membro designato dalla comunità, utilizzando strumenti rudimentali come lame di rasoio senza prodotti anestetici o antisettici.

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Ma può anche essere eseguita da medici, non senza gravi conseguenze per la salute anche in questo caso.

Quando è il personale medico ad eseguire la MGF, viene rafforzata ulteriormente la convinzione che si tratti di una pratica sana sotto tutti i punti di vista.

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Sono circa 200 milioni le donne che al giorno d’oggi convivono con una mutilazione genitale. Si stima che altri 60 milioni di bambine saranno mutilate fino al 2030, anno in cui, la MGF sarà finalmente abolita e vietata.

Nella Giornata Mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (6 febbraio) ricordiamo che è questa la promessa sottoscritta dalla comunità internazionale nell’Agenda globale degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

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