Natale: memorie della mia infanzia in Africa



Ed eccoci di nuovo qui, ancora una volta siamo giunti a quel periodo dell’anno che attendevo con tanta emozione quando ero un bambino magro.

Era finalmente arrivato il momento di mangiare carne polposa e succulenta, a differenza dei mesi precedenti in cui i miei piatti erano bombardati da ossa di tutte le dimensioni, strutture e trame in parte morbide come un cuscino, in parte dure come la roccia.

Spesso mi chiedevo perché le ossa venissero considerate una prelibatezza. Mi è sempre stato detto di mangiarne di più per via dell’elevato contenuto di calcio che fa bene a denti e ossa. Sì, ci ho creduto!

Nel corso degli anni ho triturato così tante ossa sotto i miei denti a mo’ di dinosauro. In età adolescenziale mi resi conto che la mia dieta era così ricca di ossa dure perché queste erano relativamente gratuite, ed erano tutto ciò  che i miei genitori potevano permettersi.

Ad ogni modo, la storia di oggi non verte sul calcio o sui primi 20 elementi della tavola periodica. Quella lasciamola ai poveri chimici che stanno attraversando un momento difficile nel tentativo di capire come combattere efficacemente la pandemia di coronavirus in corso.

Oggi voglio parlarvi dei ricordi che il Natale rievoca in me ogni volta che ascolto le canzoni alla radio.

A differenza dell’Europa, dove l’inizio della stagione natalizia viene inaugurato dall’avvicinarsi dell’inverno, nell’Africa occidentale abbiamo la stagione degli harmattan da fine novembre a marzo (cioè i mesi con il sole più basso). Questa stagione è caratterizzata da vento secco e polveroso che soffia dal deserto del Sahara verso l’Africa occidentale nel Golfo di Guinea.

Il nome è correlato alla parola haramata in lingua Twi (una delle lingue del ghana). La temperatura è fredda nella maggior parte dell’area, ma può anche essere calda in determinati punti, in base alle circostanze locali.

Venite con me, vi trasporterò nella corsia della memoria attraverso il mar Mediterraneo, verso un bellissimo continente africano: la Nigeria.

In questo periodo dell’anno, ovunque ti giri, ci sono persone che ballano canzoni come

Jingle Bells, Jingle Bells, Jingle all the way

Oh, what fun it is to ride in a one horse-open sleigh.

Tutti sono felici, soprattutto i bambini che, non solo mangiano la carne, ma ricevono anche regali come buffi orologi in plastica, occhiali extralarge così fragili che, per rompersi, bastava il “pugno” di una mantide religiosa, scarpe lucide e l’abito natalizio che ormai si era rimpicciolito a distanza di un anno… Ma non c’era un piano B. Il vestito della festa poteva essere indossato solo nei giorni importanti. Per il resto dell’anno, mia madre lo conservava in una valigia, che riponeva accuratamente sotto il letto in attesa della prossima occasione per poter tirarlo fuori…

Nel pomeriggio della Vigilia andavamo nel bosco per raccogliere alcune foglie e rami di bambù e costruire una casa improvvisata con 2 camere, una delle quali era per ”Babbo Natale”. L’altra serviva ad accogliere i piccoli ospiti  che volevano fargli visita in cambio di qualche caramella.

Poi di notte ci vestivamo con i tipici abiti africani, dipingevamo i nostri volti con gesso bianco, poi setacciavamo le strade ballando, alla ricerca di qualche adulto da intrattenere con i nostri passi di danza e intonando questa canzone:

Capo, infila le mani nelle tue tasche, siamo sicuri che sono piene di soldi.

Nessun adulto con una coscienza riusciva a dire di no a un paio di bambini simpatici che volevano solo divertirsi e che ballavano come in un cast del circo.

Mostravamo un sorriso smagliante, armonizzavamo come i Jackson 5 e ballavamo come tanti i giocattoli telecomandati, dotati di super carica. È stato un trucco che ha sempre funzionato; alla fine dei conti, i soldi guadagnati sarebbero stati spesi in caramelle per i bambini che venivano a vedere Babbo Natale nella casa di bambù che assomigliava a una nave. Missione compiuta!

La sera della Vigilia prendevo in prestito la fascia di mia madre, la avvolgevo intorno a chi (di solito io) facesse il Babbo Natale di turno, in modo tale da ricreare quell’effetto tipico di ””pancia americana” Infine, con un gesso bianco disegnavamo sul viso la barba e i baffi finti e poi esclamavamo “ho-ho-ho”.

Ma ecco il momento clou della serata del 24: c’erano numerosi bambini in coda per vedere Babbo Natale. Beh, forse sarebbe più appropriato dire che tutto quello che volevano erano caramelle. A chi importava di un Babbo Natale mal vestito, soprattutto se sapevi che il ragazzo dietro la “maschera” ne era una  versione “fatta in  casa”.

Tuttavia, eravamo più che felici di trascorrere del tempo insieme, ballando insieme e sgranocchiando le caramelle gratis che Babbo Natale aveva da offrire.

Il divertimento non era finito lì, soprattutto per me: sapevo che il giorno dopo (giorno di  Natale) avrei ricevuto un bel pezzo di carne “grassa”: almeno per una volta le mie mascelle sarebbero stati facili.

Questi sono i miei più bei ricordi legati al Natale. Buon Natale a tutti!!!