Un nero non può vendere caffè perché “non è originario di qui”

Se c’è una cosa che non mi piace di me stesso, è il fatto di avere una memoria a breve termine (come la maggior parte degli uomini): per tenere tutto “organizzato”, scarabocchio due righe su un pezzo di carta senza alcun criterio.
Questo porta alla storia che sto per condividere con voi oggi: entro in casa, al ritorno dal supermercato, e improvvisamente qualcosa mi rievoca un’esperienza che ho vissuto un paio di anni fa. Siccome sono dell’idea che non bisogna mai procrastinare, poggio subito le borse della spesa e accendo il computer per salvare questa storia nero su bianco.
A chi non è mai capitato di rispondere a un annuncio di lavoro perché i requisiti riportati vi rispecchiano in tutto e per tutto? Avete come la sensazione che il lavoro sia già vostro, così inviate il vostro bel curriculum, sottolineando il fatto che siete dei gran lavoratori, puntuali, con esperienza, motivati, energetici, positivi e focalizzati sull’obiettivo aziendale, proprio come richiesto nell’annuncio. È esattamente ciò che ho fatto io: vedo questo bell’annuncio e penso che questa volta ci siamo proprio, quel lavoro non può non essere mio.
Allego subito il mio curriculum vitae nel box dedicato, sotto l’annuncio, e nel messaggio scrivo tutte quelle peculiarità che mi contraddistinguono e mi rendono la persona più adatta per quella posizione.
Clicco sul pulsante INVIA e dopo già cinque minuti ricevo una risposta. Penso: “Gli piaccio!”. Gioisco come uno che ha appena vinto alla lotteria, apro con impazienza la mail, ma accade qualcosa che non mi sarei mai aspettato!
So che non vi ho ancora rivelato di che lavoro si tratta, perdonatemi. Ho intenzionalmente omesso questa parte in modo da permettervi di seguire la storia con imparzialità. Leggete prima la risposta che ho ricevuto: “Siamo spiacenti, cerchiamo solo le persone originarie di qui”, (tradotto: ”Non vogliamo una persona nera.”)
Rispondo al messaggio, scrivendo che sono italiano, che parlo la lingua italiana come le persone “originarie di qui”. Ciò che mi rende diverso è il mio nome, e la mia pelle “quattro stagioni” che è di qualche tono più scuro degli autoctoni. Ma la sua testa ha già deciso:
…sarei stata un’ipocrita ad illuderla. Conosco i miei clienti, so quanto sia delicato gestire le persone che basta un nulla e non vengono più in negozio. Non è indicato non perché non sia qualificato, ma è la società stessa che ci crea le barriere.
Apprendo “con dispiacere” che non sono all’altezza di vendere cialde di caffè!
Cerco di rincuorarmi pensando che ogni datore di lavoro ha il diritto di scegliere chi vuole, e che forse ha solo bisogno di persone con particolari caratteristiche fisiche più adeguate per rappresentare l’azienda. Ma più ci penso e più non me ne capacito.
Passano i giorni e non riesco a smettere di pensare al fatto che le mie qualifiche sono prigioniere del colore della mia pelle, ma trovo un po’ di sollievo quando, qualche giorno dopo, un tizio che la conosce mi dice di lasciarla perdere perché è leghista. Ora tutto ha più senso!
Con il senno di poi, mi pento di non aver avuto la prontezza di spiegare alla signora una cosa fondamentale che non si può ignorare:
La parola “caffè” deriva da “Caffa”, una regione in Africa da cui proviene quella polvere nera che beviamo almeno sette o otto volte al giorno. Lì è stato scoperto e usato per la prima volta, grazie alle capre che un giorno, mentre pascolavano, mangiarono le bacche e masticarono le foglie della pianta. Quella notte le capre, anziché dormire, si misero a vagabondare con un’energia e una vivacità mai viste. Il pastore cercò di risalire alla causa del loro comportamento. Quando capì che il motivo era legato a quello che le pecore avevano “sgranocchiato”, raccolse le bacche di quella pianta sconosciuta, ne abbrustolì i semi, li macinò e creò una bevanda. Gli arabi, poi, se ne innamorarono e la distribuirono in tutto il mondo, dal porto chiamato Makhachkala nello Yemen. Da qui gli europei lo chiamarono Mocca o Caffè (da Caffa).
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