“Vai via, vattene al tuo paese!”, tutto inizia con una propaganda



Odio quando la gente mi chiede se l’Italia sta diventando un paese razzista, perché la risposta è ovvia.

Tuttavia, non voglio ferire i sentimenti di nessuno (soprattutto le persone a cui tengo), e cerco sempre di dare una risposta diplomatica pronunciando un lento e poco convincente

NO!

altrimenti sarei disonesto verso me stesso.

Beh, sappiamo tutti che si tratta di una bugia e che la questione è evidente agli occhi di tutti: è solo difficile ammetterlo.

Il problema non sta nella domanda se l’Italia stia diventando razzista o meno, ma è nella costante negazione dell’ovvio: si fa fatica ad accettare che fondamentalmente qualcosa si è infiltrato nel nostro tessuto sociale.

Però, se rifiutiamo di accettare il fatto che un problema c’è, e nel frattempo quel problema ignorato continua a sussistere e a peggiorare, come potrà mai essere risolto?

Quanto deve essere alta la posta in gioco perché si possa parlare di razzismo a fattor comune: quando si usa un epiteto razzista?

Quando nessuno vuole sedersi accanto a te in treno, nonostante gli atri sedili siano tutti occupati?

O quando capitano cose tipo quello che è accaduto a me ieri sera?

Sono sicuro che anche dopo aver raccontato questo triste episodio, ci sarà ancora qualcuno che si troverà in disaccordo e dirà che non si è trattato di razzismo.

Mentre passeggiavo, un signore sulla 50ina mi è passato accanto, lanciandomi un’occhiataccia e borbottando una frase.
Mi sono girato verso di lui per fargli notare che mi aveva offeso, e mi ha urlato
Vai via, vattene al tuo paese.
Evidentemente non si aspettava che io potessi comprendere le sue parole.
Non poteva sapere che sono un rispettoso cittadino italiano e che mi esprimo perfettamente in lingua italiana: l’unica cosa che ha visto è stata la mia immagine (e quello che secondo lui rappresenta) che gli arrivava di fronte, e questo gli è bastato per far partire qualche cattiveria gratuita.
Senza conoscermi, si è rivolto con questi toni nei miei confronti, mentre me ne stavo per i fatti miei, “rischiando” anche di salutarlo, come è sempre mia buona abitudine, quando incrocio qualsiasi persona sul mio passo.

Qualcuno si è affacciato per osservare la scena, attirato dalla conversazione animata.

Il signore, rassicurato dalla presenza dei suoi “testimoni”, si è impettito e ha serrato i pugni.
E poi è arrivato un giovane dal nulla a mandarlo via, dicendomi di lasciarlo perdere.
Mi sono capitati episodi, seppur tristi ma sporadici e di piccole dimensioni, sempre superati con gentilezza e soprattutto comprensione da chi ha capito di avere sbagliato.
Chi ha seguito i miei racconti, avrà letto che una volta mi sono ritrovato io a dover consolare una signora in lacrime per un “malinteso” nato da parte sua. (Leggi qui)
Invece, da una settimana a questa parte la dose di episodi simili si è rincarata e con toni completamente diversi: sono spariti il pudore, i mezzi termini, il
lo penso, ma non lo dico, e non te lo dimostro neppure che lo penso.
Qualche giorno fa in piazza un’altra signora, evidentemente infastidita dal fatto di dovermi incrociare, ha borbottato qualcosa e si è scansata furiosamente… direi, piazza Chanoux non è poi così tanto stretta!
Un paio di sere fa, ancora, sedute sulla panchina nelle vicinanze del cancello di casa mia, c’erano due signore, presumo mamma e figlia, con due bambini.
Per entrare nella mia proprietà, dovevo per forza passare davanti a loro, e il più grandicello dei bambini mi ha salutato con un bel sorriso:
Ciaaaaooo!
che ho ricambiato sorridendo, come se fosse stato uno dei miei figli.
La signora anziana ha rimproverato il bambino di non salutarmi, ha detto qualcosa all’altra donna, poi entrambe si sono alzate infastidite e sono andate via, davanti ai miei occhi increduli.
Quando metto insieme i pezzi di questi singoli episodi, vedo il puzzle completo e penso che, dopotutto, genocidio, guerra, xenofobia, olocausto e ogni sorta di crimini d’odio sono iniziati con una semplice propaganda:

Quelli lì sono tuoi nemici, sono una minaccia, sono la causa della nostra miseria…

La guerra in Ruanda e il genocidio sono stati istigati da una semplice propaganda in un programma radiofonico.

E quando un paese semina odio attraverso la politica, allora quel paese può essere definito razzista.

L’autunno è appena cominciato, ma noto che i razzisti, finora repressi, da qualche giorno stanno spuntando come boccioli durante la stagione primaverile, autorizzati da una propaganda portata avanti per promuovere la propria carriera politica.

Quante scuse potrebbero costruire un ponte rotto? Neppure una!

Il razzismo è un grosso problema che non potrà mai essere cancellato, se continuiamo a fingere che non ci sia.

Questo mi riporta alla domanda iniziale:

Se io dicessi che l’Italia sta diventando un paese razzista, qualcuno si sentirebbe tirato in causa?

Se la risposta è sì, allora quel qualcuno fa parte del problema.